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Cittadino e cittadinanza

Writer's picture: uguaglianza4auguaglianza4a

Updated: Feb 25, 2023

I termini "cittadino" e "cittadinanza" hanno origine latina e discendenza medioevale: i termini derivano dal francese cité (città) e da citeien (abitante della città) nonché dalle parole latine civitas e civis. Civis traduce il greco polites, che deriva da polis.


Che cosa significa "Cittadino"?

È la condizione di colui che appartiene ad uno Stato, a cui sono attribuite un insieme di situazioni giuridiche (attive e passive, diritti ed obblighi) nei confronti dello stesso Stato.

L'acquisizione della cittadinanza può avvenire:

- per nascita (in base alla cittadinanza dei genitori - ius sanguinis - o in base al luogo ove si nasce - ius soli -);

- per estensione (attraverso matrimonio o adozione);

- per concessione dello Stato.


La concezione di cittadino e cittadinanza si è evoluta con il susseguirsi dei millenni e delle civiltà. Vediamo qualche passaggio.


Per l'esperienza greca, il riferimento è la Politica di Aristotele, che definisce il cittadino come colui che è in grado tanto di governare quanto di essere governato. Aristotele pone due domande molto rilevanti: «chi è il cittadino?» e «chi dobbiamo chiamare cittadino?». Alla prima risponde che essere cittadino significa essere portatore di un potere pubblico permanente e illimitato; alla seconda risponde che per essere chiamati cittadini si deve essere capaci di governare, ma per essere capaci di governare è necessario aver imparato ad obbedire e dunque solo l’uomo libero, dotato di ragione e soggetto al potere, può definirsi cittadino. Il fatto di vivere nella polis e di poter partecipare a dare forma alla propria vita per mezzo di decisioni collettive realizza l’uomo come essere razionale, attivo e politico per natura. Pertanto, come evidenzia lo storico J. G. A. Pocock, la cittadinanza non è semplicemente un modo per essere liberi, è il modo in cui si è liberi. Negare quindi a una persona il diritto di prendere parte alle decisioni che influenzano la sua vita equivale a negare la considerazione dovuta a un essere umano in quanto tale.


Con i romani la nozione di cittadino mutò significato. Da quello di "animale politico" passò gradualmente a quello di “essere giuridico”. Essere cittadino romano comportava avere una serie di privilegi, variabili nel corso della storia e che nella fase più completa consentiva l’accesso alle cariche pubbliche e alle varie magistrature, la possibilità di partecipare alle assemblee politiche dell’Urbe, avere vantaggi sul piano fiscale e la possibilità di potersi presentare in giudizio attraverso i meccanismi dello ius civile, il diritto romano per eccellenza. In epoca imperiale Cittadino venne a significare individuo libero di agire secondo la legge, libero di chiedere e di pretendere la protezione della legge, mentre la cittadinanza divenne una condizione giuridica che portava con sé diritti e privilegi, disponibili e non, in molti tipi e gradi.


Dalla concezione giuridica romana del cittadino derivò quella liberale:la persona fu definita capace di appropriarsi della "natura" e di intrattenere relazioni con altre persone; tali interazioni furono in seguito tradotte nel mondo giuridico e politico come diritti.

La concezione liberale riusciva a unire il meglio della lezione greca e romana: riconosceva l'importanza del mondo e delle relazioni materiali, che la mentalità della polis trascurava, e consentiva ad un ampio numero di individui di pretendere pari prerogative giuridiche.


Alla fine del XVII secolo divenne chiaro che il potere dello stato e degli individui era anche fondato su un altro genere di proprietà, suscettibile di essere spostata e scambiata, vale a dire il capitale, il credito, le merci. Questo genere di beni coinvolse le persone in modo molto più profondo di quanto non avesse mai fatto la proprietà fondiaria. In questo nuovo contesto i cittadini avvertivano che la loro capacità di difendere la propria libertà diminuiva via via che venivano coinvolti nell'economia dello scambio; per questo motivo la rivoluzione francese potrebbe essere considerata, secondo alcuni studiosi, un tentativo di "giuridificare" il cittadino politico, di trasformarlo in un essere virtuoso armato della forza della legge, quindi capace di (e legittimato a) unirsi agli altri per costruire il mondo nuovo e un nuovo sé stesso.


I cittadini durante la rivoluzione francese sono tutti coloro che “hanno il diritto di partecipare alla formazione e al mantenimento della legge

(Cahier De Massy, 1789)

“Tre condizioni sono sempre essenziali per godere del diritto di cittadinanza: essere libero e non schiavo, francese e non straniero; possedere nel regno o nelle colonie

delle proprietà fondiarie, mobiliari o di impresa, che consentano di contribuire

agli oneri pubblici; [...] un mendicante, un povero ritirato in un ricovero, entrambi Francesi e nati liberi, ma senza altra proprietà che quella della loro persona e a carico dello Stato, sono cittadini, ma non ne esercitano i diritti; perché questo titolo implica una qualità o attributo diverso dall’essenza dell’individuo.”


Questo concetto di cittadinanza è stato elaborato dai redattori del Cahier (quaderno di rimostranza) per motivare e articolare la richiesta del voto “per testa”, invece che per ceto. Le condizioni includono la distinzione del diritto romano tra civis e servus, l’autonomia dell’individuo e la sua capacità giuridica garantita dalla libertà, la nazionalità dell’essere francesi, il coinvolgimento nella difesa dello stato attraverso il “sostegno degli oneri pubblici”.




Fonti


M. Cellerino, Senza patria. Forme e modi della cittadinanza contemporanea in isral.it, 12.02.2007.

J. G. A., Pocock, The ideal of Citizenship Since Classical Times, in R. Beiner (a cura), Theorizing Citizenship, Albany, Suny Press, 1995, pp. 29-52.

M. Bovero, Contro il governo dei peggiori. Una grammatica della democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2000.

A.Furia,La cittadinanza durante la Rivoluzione francese in scienzaepolitica.unibo.it 2002

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