Anche per Rousseau nello stato originale di natura gli uomini godono della totale uguaglianza tra loro, nessun individuo è diverso dall'altro né per condizione intellettuale né per stato sociale: è quindi, nello stato primordiale di natura, uguale al proprio simile a livello morale.
D’altro canto Rousseau fa risalire l’origine della disuguaglianza alla formazione dello stato civile e alla nascita delle istituzioni, all'invenzione e all'introduzione del «mio» e del «tuo» e della proprietà privata. Rousseau contrappone nettamente uno stato di natura in cui l'uomo, autosufficiente e isolato rispetto ai suoi simili, è spontaneamente buono e in armonia rispetto a se stesso e all'ambiente circostante, ad uno stato civile dominato dalla competizione, dalla falsità, dall'oppressione e dai bisogni superflui, a cui l'individuo si adatterà acquisendo tali fattori sociali.
Nello stato originale, secondo Rousseau, non esistevano disuguaglianze. Con il progredire delle istituzioni nasce invece la diseguaglianza rappresentata dalla schiavitù come dipendenza reciproca e come prevaricazione del più forte sul più debole, la separazione sociale ed economica tra ricco e povero.
Rousseau auspica che si possa, senza dover necessariamente tornare allo stato di natura (anche perché non ne saremmo più capaci), costruire uno stato civile giusto: un progetto che si traduce nel Contratto Sociale e nella sottomissione alla volontà generale (cioè l’agire volto al bene dello Stato).
Citando l’omonima opera:
"La legittimità di tale contratto [sociale] sta nell’alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunità. [...] non resta così ad alcun associato niente da rivendicare."
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