Non si può comprendere veramente come il problema della disuguaglianza sia ancora radicato nel nostro Paese se non attraverso una testimonianza concreta.
L’articolo 3 afferma che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, che lo Stato si impegna a garantire che ciò si realizzi, ma è evidente che, di fatto, la realtà presenta molte disparità, non sempre facili da eliminare.
Ecco perché abbiamo intervistato Riccardo, un ragazzo affetto da leucomalacia periventricolare, per discutere delle difficoltà incontrate durante la sua vita a causa della sua disabilità, sia dal punto di vista della mancanza di infrastrutture adatte, sia per quanto riguarda l'accettazione nella società.
L'obiettivo di questa intervista è quello di ricordare che l’uguaglianza va vissuta in ogni istante, lo Stato siamo noi e ognuno deve impegnarsi nella propria quotidianità per abbattere quegli ostacoli che impediscono l’uguaglianza tra cittadini, eliminando innanzitutto quei pregiudizi infondati che, come una malattia, affliggono lo Stato.
Attraverso citazioni filosofiche, episodi biografici, riflessioni di carattere etico, il tutto senza peli sulla lingua, Riccardo ci ha fatto riflettere su queste tematiche in modo nuovo, e ci auguriamo che i lettori di questo blog possano provare lo stesso coinvolgimento che abbiamo vissuto noi.
Ciao Riccardo, raccontaci la tua storia!
Ho 28 anni, sono affetto dalla nascita da leucomalacia periventricolare sinistra (diparesi spastica), mancanza di ossigeno al parto alla parte destra (emisfero sinistro) del cervello e vivo su due ruote da quando sono nato.
alle superiori ho studiato all’istituto agrario e all’università mi sono laureato in teologia e ho anche insegnato religione.
Che ostacoli hai incontrato a causa della tua disabilità?
Dico sempre che: “non faccio nuoto per essere un nuotatore ma per avere le spalle grosse”; gli ostacoli sono tanti e di tanti tipi. A livello di inclusione scolastica ci sono stati i primi episodi di bullismo da parte di ragazzi e mancanza di accettazione da parte dei docenti. Queste sfide mi sono servite per tirare fuori il midollo: prima avevo paura degli altri, mi sentivo in difetto, ora ho imparato a dire la mia in modo diplomatico: “ci sono anche io e noi come categoria di disabili”.
Senti vicino il secondo comma dell’art 3?
É un programma di vita ancora utopico…”le carte sono belle perchè sono scritte dal sapientone”. Sta a noi vivere quello che c’è scritto e realizzare un’inclusione che non sia solo fisica ma anche mentale. La società deve essere disposta a scommettere anche su di noi!
Dobbiamo essere disposti a camminare sempre insieme per realizzare questa sfida a piccoli passi, questo cammino tuttavia è costernato di paradossi…pedane troppo ripide quando ci sono e ministri per le disabilità che non sono disabili. Non si può parlare delle sfide dei disabili senza disabili.
È quindi sia un problema di come lo stato interviene ma anche un problema culturale?
Dobbiamo sempre ricordarci che lo stato siamo noi, "non c'è uno stato in potenza ma uno stato in atto"…per citare Aristotele l’inclusione deve essere una sinfonia di tanti strumenti, non ci sono solo flauti o violini ma siamo tutti diversi.
Allora siamo uguali ma diversi?
La più grande menzogna che ho sentito è che siamo tutti uguali.
L'uguaglianza non è uguaglianza, l'uguaglianza non è essere tutti uguali: se sono uguale a te significa che appiattisci le differenze, ma io voglio essere uguale a me stesso, perché solo accettando le nostre diversità possiamo cambiare il mondo.
Cos'è, per te, l'uguaglianza?
Non si può racchiudere l'uguaglianza in uno slogan, essa va vissuta. L'uguaglianza non dev'essere "uguale". Uguale a cosa? Nel nostro linguaggio abbiamo il parallelismo "uguale a", facendo riferimento ad un modello prestabilito al quale ci uniformiamo: io devo essere uguale a te perché tu sei un modello da raggiungere. Esempio ne è la scelta dell'influencer Chiara Ferragni alla co-conduzione di Sanremo, situazione in cui viene esibito un modello di perfezione a cui tutti vogliamo ambire.
Ma con il termine uguaglianza, si intende uguaglianza a sé stessi: essa non è conformità a quello che la società ritiene normale, ma accettazione e inclusione di tutti.
E' per questo che preferirei parlare di "uguaglianze": abbiamo più modelli da seguire, più sfide da vincere, e se tutti ci mettessimo in gioco con le nostre "uguaglianze", senza ambire a qualcosa che sta nell'Iperuranio, ma affrontando la realtà, avremmo la realizzazione di un'uguaglianza che non è soltanto teorica ma anche concreta. E' un lavoro di ampia portata, che va affrontato ogni giorno, assiduamente, ma ogni vita, ogni uguaglianza può creare un tassello di un mosaico più completo, più bello.
Grazie, Riccardo.
Dobbiamo impegnarci tutti i giorni come uno stato unito! Le diseguaglianze non devono essere qualcosa che si separi da chi è diverso, o meglio dire apparentemente diverso, perché in realtà siamo tutti diversi, ma vanno affrontate, giorno dopo giorno, per garantire la piena realizzazione di tutti gli individui. Forse, se tutti ci mettessimo in gioco con le nostre "uguaglianze", quell'utopia di cui parlava Riccardo non sarebbe poi così irraggiungibile.
INTERVISTA INTEGRALE:
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